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Incontro di Ideeinformazione del 26 gennaio 2022

ABBIAMO PARLATO DI:
Speculazione capitalista e urbanistica

All’incontro ideeinformazione del 26 gennaio 2022 ci siamo occupati, per ragioni di tempo, soprattutto del tema dell’urbanistica di Milano e della speculazione Edilizia.
Per quanto riguarda la possibilità di una collaborazione più ampia con ARCI, purtroppo non è stato possibile concretizzare dei contatti con loro prima del nostro incontro. Contatti che sono stati messi in campo con un appuntamento on line successivo: Giancarlo Straini si è mostrato molto interessato al nostro progetto sulle città e in particolare su Milano, su cui abbiamo trovato delle convergenze per quanto riguarda la disuguaglianza centro/periferie, gentrificazione ecc. Viceversa sul tema della formazione sulla storia abbiamo riscontrato più difficoltà (anche perché al momento è particolarmente complicato, per altre iniziative in corso, attivare i contatti con chi in ARCI potrebbe essere più interessato all’argomento).
La proposta di Giuseppe Masera sull’avviare uno studio complessivo della diffusione del “virus neoliberista” ha suscitato interesse e contemporaneamente timore, per le difficoltà che comporta affrontare questa tematica potenzialmente molto ampia. Si propone quindi un momento di discussione specifica per valutare come potrebbe essere declinato l’argomento.

Sul primo tema proposto Sandro Rinauro ha tenuto una lezione davvero interessante -di cui riportiamo un’ampia sintesi più sotto- proponendoci un’analisi dei luoghi dove si è concentrata e si sta concentrando maggiormente la speculazione edilizia a Milano, sulle sue cause e sulle sue conseguenze, preceduta da un inquadramento teorico dell’argomento all’interno del pensiero marxista. La prospettiva è di ricavarne un Quaderno sul ”consumo di suolo” nella nostra città, su quanto sia giustificato e quanto non sia semplicemente per il profitto di pochi a scapito di tutti, e quali siano le sue ricadute sul tema fondamentale che attraversa tutti i nostri quaderni che è il problema delle disuguaglianze.

Questo interessante excursus ha innescato diverse considerazioni finali.
Per Ester Prestini assistiamo a una politica “estrattiva” allo stato puro se si pensa che i capitali sono transnazionali, non italiani, con sedi fiscali altrove. Inquietante poi, dal punto di vista della tenuta democratica che, sia il sindaco di destra o sinistra, le politiche sul suolo rimangono le stesse, nulla si modifica. il voto è espropriato, non solo la vita, il capitale ridisegna la città e espelle. L’istituzione pubblica non è diventata altro che l’elemento che crea i canali perché questi capitali possano essere investiti, anche tramite manipolazioni che introducono codicilli nel nuovo piano regolatore che modificano tutto.
Per Giorgio d’Amico la ricaduta sulla tenuta delle istituzioni democratiche è già in corso, segnala infatti sinistri scricchiolii, l’ultimo dei quali riguardante le elezioni suppletive romane, la cui partecipazione è stata irrisoria. il problema non è tanto la rappresentatività di questa deputata ma che l’89% non abbia avuto voglia di andare a votare, questo è un segnale grave, così come è grave che i movimenti di base non abbiano nessuna sponda politica.
Per Toni Muzzioli questo è il risultato della messa fuori terreno da parte della politica delle opposizioni radicali. La spettacolarizzazione delle proteste viene assorbita dal sistema stesso, ma i movimenti vengono messi, prima ancora di nascere, in questa situazione. Per questo sarebbe importante una politica che riporti al centro di queste tematiche, questo dovrebbero capirlo anche i moderati di sinistra.

Quali prospettive dare al percorso proposto con la lezione di oggi?

Toni Muzzioli ha proposto di inserire questa lezione, come introduzione teorica, all’interno di un piccolo convegno di tre quattro interventi, magari coinvolgendo Basilio Rizzo o altri compagni delle associazioni che lavorano per esempio sul Meazza, a questo proposito Giorgio d’Amico ha ricordato che ci sono associazioni, tipo Arcipelago Milano e molti comitati, che dovremmo coinvolgere per una iniziativa a livello cittadino. E’ importante che i loro progetti e proposte acquistino visibilità e sponde. Infine Mariangela Villa ha segnalato che come Costituzione Beni Comuni hanno in programma un incontro su questo tema -con tempistiche aprile/maggio- a cui si potrebbe collaborare, a partire anche dagli spunti usciti in questa occasione coniugando l’inquadramento teorico con la concretezza delle attività dei comitati.


Nel pensiero marxista la questione della speculazione edilizia e il rapporto tra il capitale e speculazione edilizia non è mai stata un tema centrale. La sottrazione di plusvalore che avviene al di fuori del processo produttivo è stato abbastanza trascurato da Marx.
E’ stato però trattato in maniera importante da un grande geografo, Henri Lefebvre, col libro che uscì nel maggio del 1968 “Il diritto alla città”.
Il testo è stato ripreso negli anni ‘80 e negli anni 2000 soprattutto alla luce della crisi dei subprime, da un altro grande teorico geografo marxista che è David Harvey.
Mediante l’analisi dei fenomeni storici delle grandi ondate otto-novecentesche di speculazione urbanistica nel mondo questi due autori hanno messo in luce qual’è il ruolo della città nell’accumulazione del capitale. Quello che entrambi hanno rilevato è che nei momenti di crisi del sistema produttivo del settore secondario, l’industria, il capitale si sfalda perché è inutile reinvestire in produzione se la gente non può comprare. Quello che avviene storicamente in questi periodi, che sono frequenti, è che si cerca di investire nell’edilizia. Questo però porta spesso a dei disastri, perché non si costruisce infatti in base alla domanda di vani, ma in base alla quantità di capitale eccedente che deve essere reinvestito. Quindi anche la produzione edilizia è eccedente al mercato. Sostanzialmente si trasferisce la crisi di sovrapproduzione del settore industriale al settore suolo.

L’esempio più classico che si fa sia in Lefebvre sia in Harvey (ne “Il capitalismo contro il diritto alla città”) è quello della Parigi haussmanniana: Napoleone III per andare incontro alla parte della borghesia che lo sosteneva lancia una politica di infrastrutturazione fenomenale (canali, tunnel, ecc) e investimenti nel canale di Suez, ma soprattutto il rifacimento di Parigi.
Il progetto della Parigi haussmanniana aveva due scopi: uno era appunto un forte investimento di capitale, distruggere l’esistente per ricostruire da capo, favorire un ricambio sociale, con la marginalizzazione e segregazione sociale dei ceti popolari e la loro espulsione nelle periferie. L’altro scopo, sempre di tipo classista e repressivo, costruire i grandi boulevards, il cui pretesto era favorire una circolazione nuova (spazio per gli omnibus). In realtà le barricate del ‘48 avevano dimostrato che non si sconfiggono le rivolte popolari se non si trasforma urbanisticamente la città in modo che sia funzionale alla cavalleria e ai cannoni (o ai carri armati di oggi).
Il risultato fu un grande fallimento. Si costruì infatti ben più di quello che anche la borghesia montante francese era in grado di comprare. Non si comprò a sufficienza, di conseguenza le banche non rientrarono dei prestiti, fallirono una dietro l’altra innescando a loro volta fallimenti nell’economia reale, l’esempio di ciò che avvenne con Lehman Brothers 150 anni dopo. Quanto al popolo cacciato e esautorato: la lettura teorica di Lefebvre e Harvey dimostrò il potenziale rivoluzionario che non aveva semplicemente il proletariato industriale espropriato del plusvalore, ma che aveva anche il sottoproletariato urbano espropriato di quel capitale che è il suolo.

Questo tipo di dinamica e le sue conseguenze in termini di generazione di crisi economiche, di marginalizzazione ed espulsione dei ceti popolari e di espropriazione di suolo le si ritrova anche nelle speculazioni edilizie della Roma Umbertina, nella crisi del 2007-2008, in particolar modo negli Stati Uniti, fino ad arrivare alla Milano dei giorni odierni.
Il meccanismo è sempre lo stesso: si investe non in base a quanto chiede il mercato ma in base alle eccedenze di capitale da reinvestire, si investe nel cemento ma poi non si sa più come venderlo.

Per quanto riguarda Milano i punti importanti sono le analisi dei cantieri recenti degli ultimi 15 anni a questa parte. Siamo esattamente nel tipo di contesto già descritto: crisi economica del settore secondario (A Milano in particolare anche grazie alle delocalizzazioni dalla fine degli anni 70 in poi che hanno fatto si che una parte del capitale e della popolazione non possa più vivere grazie ad attività nel settore secondario) e conseguente necessità di reinvestire, tra gli altri settori, anche nella speculazione edilizia.
La zona delle ex Varesine/Garibaldi è stata la prima ad essere coinvolta in questa trasformazione, adesso sono investiti gli scali ferroviari, il Meazza, la Bovisa

Ex Varesine
Vennero riconvertiti in residenziale di lusso immobili inizialmente pensati per il terziario e destinati non già ai milanesi ma a quelli che i sociologi chiamano “globopolisti” , cioè un ceto che guida i settori portanti dell’economia globale (logistica, tecnologie digitali…) e che ha radici un po’ dappertutto e da nessuna parte.
La città quindi viene trasformata nel suo paesaggio urbano a profitto di qualcuno che non è di qui, che oggi c’è e domani è altrove.
Il risultato estetico e urbano di costruzioni che sono state pensate per un mondo che è altro rispetto alla città è la estraneità paesaggistica e stilistica di questo costrutto.
Anche perché di solito vengono edificati in quelli che chiameremmo non-luoghi.
La città classica è costruita con spazi realizzati per creare prossimità: un “alveare” che crea esteticamente e psicologicamente comunità. Mentre questo tipo di costruzioni pensate per altri, non per la comunità locale, sono molto distanti, non sono lungo le strade, sono disallineati, le porte non si vedono. Guardandoli di notte danno un senso di solitudine e estraneità pazzesco: questi portoni con una spianata di cemento in mezzo, che non guardano altri portoni. Emotivamente non sembrano luoghi abitati, occorre fare uno sforzo razionale, perché sono stati pensati per l’altrove e non per la cittadinanza.
C’è poi il rovescio della medaglia: mentre si danno permessi di costruzione per immobili che non risolvono il problema dell’esigenza abitativa dei cittadini, non si cura più ciò che è collettivo.
Dietro a ciò non c’è solo la cultura neoliberale o la storia personale dei nostri sindaci che si vestono di sinistra per poter operare meglio a favore del privato. C’è un contesto di tipo anche legale e finanziario: da molto tempo a questa parte lo stato centrale ha ridotto di molto i trasferimenti finanziari ai comuni, questi dunque per finanziarsi hanno sempre più bisogno di concedere permessi di costruzione per poi riceverne le tasse.
Il problema vero è cosa si fa di queste entrate: se vengono utilizzate per migliorare la qualità della vita per i milanesi o per qualcos’altro.

Bosco spontaneo della Bovisa, o bosco della Goccia.
Nello spazio dei gasometri progressivamente abbandonato dagli anni 70 è nato spontaneamente un bosco.
Quest’area viene presa di mira dalla speculazione edilizia e dai grandi centri di progettazione architettonica. In quel luogo il suolo costa relativamente poco rispetto alle zone limitrofe, se ci fosse una pressione abitativa l’operazione potrebbe anche essere giustificata. Ma questo spazio non è stato destinato all’edilizia residenziale perché si è capito che di questa più di tanto non ce n’è bisogno. Si è invece pensato di distruggere il bosco e al suo posto costruire il nuovo campus del Politecnico, un bel centro commerciale che non può mai mancare e infine i cosiddetti parchi attrezzati con luoghi di ristoro, alberghi e così via.
Si attua quello che può essere considerato il modello “spiaggia attrezzata”: impianti balneari dappertutto in modo tale che chi vuole usufruire di quel bene pubblico sia costretto a pagare.
Il ricavato però non va allo Stato cioè la collettività, ma a chi lo gestisce, peraltro in cambio di un corrispettivo irrisorio allo Stato stesso.
Il bosco ha però delle ricadute ambientali molto più importanti del prato: non solo a parità di superficie assorbe molta più anidride carbonica, ma ha la capacità di abbassare la temperatura d’estate che il prato non ha, e protegge molto più il suolo. Parliamo -un censimento di una decina di anni fa- di circa 2500 piante, su una superficie di poco inferiore al parco di Porta Venezia.
Ma per una certa cultura è inaccettabile che ci siano dei suoli che non producono profitti.

Altro spazio di questo tipo è quello che si sta creando allo Scalo Farini, anche qui c’è sempre di mezzo l’Università con un progetto di campus. La popolazione universitaria sta crescendo anche grazie al depotenziamento delle università del sud. L’università sta invadendo molte di queste aree mentre ci sono tanti spazi vuoti in città che si potrebbero riutilizzare senza intaccare il verde e il bene pubblico. Ma questo darebbe molto di meno come ritorno finanziario, perché si dovrebbe ristrutturare e non costruire ex novo.
Un esempio virtuoso, esempio di una differenza che grida vendetta al cielo con la Statale che andrà a Rho-Pero: l’Università Cattolica per allargarsi ha affittato una parte della caserma Garibaldi, decidendo di rimanere vicino alle sede principale diminuendo disagio e anche inquinamento da spostamenti. Così come ha fatto la Bocconi, con la nuova sede a pochi centinaia di metri.
L’accademia di Brera avrebbe dovuto andare nella caserma Mascheroni, così come Città Studi avrebbe potuto rimanere a poca distanza -come chiedevano i comitati di quartiere- per esempio nell’area ex Innocenti. Invece, per Expo, su pressioni della Regione e di Formigoni si acquistarono i terreni di Rho-Pero invece di affittarli, e in seguito, con la crisi, divenne impossibile rivenderli. L’allora Rettore della Statale propose quindi di traferire lì l’università, facendo tutti contenti dal Comune alla Regione. Viene infatti così spalmato su tutta la nazione quel debito che entrambi hanno con le banche, perché deve contribuire anche il Ministero della ricerca e università.
Il risultato è che chi frequenta l’università dovrà farsi ventun fermate di metro (oppure, come proposto, si potrà istituire di una navetta -quindi oltre al consumo di suolo anche l’inquinamento) e ci sarà una ricaduta sociale sul quartiere di Città Studi, che da ottant’anni vive di studenti.

Sullo stadio Meazza: c’è molta retorica nel credere che questo intervento da parte dei due istituti finanziari che sostengono Inter e Milan serva poi per la ristrutturazione sociale ed edilizia del quartiere. In realtà loro avranno in gestione lo spazio del Meazza, lo spazio accanto dove vogliono costruire il nuovo stadio (di cui molti pensano che non sia necessario perchè il Meazza è sicuro e pletorico per capienza) avrebbe una parte a verde e l’ennesimo super centro commerciale. Poi si prenderebbero tutto lo spazio del trotter: ma non per farci edilizia residenziale, evidentemente perché manca una forte pressione demografica che la giustifichi. Sono invece previsti alberghi di lusso per calciatori, giornalisti, musicisti, e centri congressi, questi ultimi che pullulano in città, sempre più superflui.

Questa ondata di speculazione, il trasferimento del capitale e dell’impresa dal secondario alla speculazione edilizia, è una delle ragioni del continuo calo della competitività del nostro sistema collettivo in quanto tutte queste opportunità di investimento nell’edilizia costituiscono un freno per imprenditoria innovativa e moderna.
Il precocissimo sviluppo imprenditoriale della Svizzera è per esempio dovuto al fatto che non c’era possibilità di investimento nel territorio: i Borboni che alla fine del 700 cercano imprenditori trovano gli svizzeri, all’avanguardia nel cotone, nella tessitura, nelle macchine utensili.
In Italia continuiamo a fingere che una nazione possa vivere di turismo, di pizzerie e balneazione.
Alcuni esempi di come questa mentalità non possa reggere a lungo: a Parigi, che è la città più turistica al mondo, il turismo produce solo l’8% del reddito della città. La Tunisia viceversa viveva di rimesse degli emigranti e di turismo, ma con la crisi economica che ha fatto si che in occidente fossero necessari meno immigrati, una situazione di pericolosità per gli attentati, poi infine il Covid, questa economia è venuta meno e non hanno più niente.
Nessun paese può pensare di vivere investendo in suolo: che sia turismo, che sia svago, che sia campus, ma se c’è questa opportunità perché la politica lo permette -per una certa ideologia neoliberista- una delle ricadute, lasciando perdere problemi ambientali e disuguaglianze, è la caduta della vocazione imprenditoriale.

1 commento su “Incontro di Ideeinformazione del 26 gennaio 2022”

  1. La città è lo specchio della società: il razzismo si traduce in quartieri di segregazione, le disuguaglianze economiche in eleganti quartieri centrali e quartieri popolari periferici, capitalismo e patriarcato in quartieri divisi per funzione (dove si produce, dove si consuma, dove si dorme) e per genere (dove si lavora e dove si accudisce la famiglia).
    Ripensare l’urbanistica come strumento di ridistribuzione e cura

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