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Abolire le prigioni?

La Bottega del Barbieri ha pubblicato un dossier con un titolo che a molti potrà sembrare provocatorio.

Raccoglie molto materiale, con articoli di Vittorio da Rios, Angela Davis, Francesca de Carolis, Livio Ferrari.

Lo proponiamo alla lettura, pubblicandone qualche stralcio. Riteniamo che sia utile per preparare la discussione del prossimo incontro mensile di ideeinformazione, che sarà dedicato proprio a questa tematica.

Angela Davis
Il carcere (…) è considerato un elemento inevitabile e permanente della nostra vita sociale. I più rimangono sorpresi nel sentire che anche il movimento per l’abolizione delle prigioni ha una lunga storia, risalente addirittura alla comparsa del carcere come principale forma di punizione.
La reazione più naturale è quella di presumere che questi attivisti – persino coloro che si autodefiniscono consciamente «attivisti contro il carcere» – mirino semplicemente a migliorare le condizioni carcerarie o magari a riformare le prigioni in maniera più radicale. Quasi ovunque, abolire il carcere appare semplicemente impensabile e inverosimile. Gli abolizionisti vengono liquidati come utopisti e idealisti le cui idee sono, nel migliore dei casi, irrealistiche e impraticabili e, nel peggiore, sconcertanti e insensate. Ciò dà la misura di quanto sia difficile immaginare un ordine sociale che non sia fondato sulla minaccia di relegare certe persone in posti orribili allo scopo di separarle dalle loro famiglie e comunità.
Il carcere è considerato talmente «naturale» che è estremamente difficile immaginare che si possa farne a meno. Spero che questo libro incoraggi i lettori a mettere in discussione i loro preconcetti a proposito del carcere. Molti sono già arrivati alla conclusione che la pena di morte è una forma antiquata di punizione che viola i principi basilari dei diritti umani. Penso che sia venuto il momento di incoraggiare un dibattito analogo sul carcere. Nel corso della mia carriera di attivista contro le prigioni, ho visto crescere la popolazione carceraria statunitense con una rapidità tale che ormai molti membri delle comunità nere, latinoamericane e di nativi americani hanno molte più opportunità di finire in galera che di ottenere un’istruzione decente. Quando tanti giovani decidono di entrare nell’esercito per sfuggire all’inevitabilità del carcere, bisognerebbe chiedersi se non si debba tentare di introdurre alternative migliori.
(…)
Nel riflettere sulla possibilità che il carcere sia obsoleto, dovremmo chiederci come mai così tante persone siano potute finire in prigione senza che ciò sollevasse dibattiti importanti sull’efficacia della detenzione. Quando negli anni Ottanta, durante la cosiddetta era Reagan, s’iniziarono a costruire altre prigioni e il numero dei detenuti crebbe sempre più, i politici sostennero che il «pugno di ferro» nei confronti del crimine – che comprendeva la certezza della pena e periodi detentivi più lunghi – avrebbe mantenuto le comunità libere dalla delinquenza. Tuttavia, la pratica delle incarcerazioni in massa di quel periodo sortì un effetto scarso o addirittura nullo sui dati ufficiali relativi alle attività criminali.
Anzi, la crescita della popolazione carceraria non portò a comunità più sicure, ma piuttosto a ulteriori aumenti della stessa. Ogni nuova prigione ne generava un’altra. E con l’espandersi del sistema carcerario statunitense cresceva anche il coinvolgimento delle corporation nella costruzione delle prigioni, nel loro approvvigionamento di beni e servizi e nell’utilizzo di manodopera carceraria. Poiché la costruzione e la gestione delle prigioni iniziò ad attrarre ingenti capitali – dall’industria edilizia alle forniture alimentari, all’assistenza sanitaria – in un modo che ricordava la nascita del complesso militare-industriale, si è cominciato a parlare di un «complesso carcerario-industriale»
…testo originale qui

Vittorio da Rios
Un grande giurista partenopeo Gaetano Filangieri, nella seconda metà del 1700, nel suo capolavoro “La scienza della Legislazione” dedica un libro alla formazione dell’individuo, alla sua educazione e pone il problema fondamentale della educazione alla cultura e all’alto sapere filosofico-scientifico di ogni creatura umana. Ma Filangieri si pone un grande assioma dai grandi risvolti di natura etica-morale. La “Felicità” non può essere un fatto privato o famigliare ma deve essere “collettiva”: come posso, scrive Filangieri, essere felice quando intorno a me c’è fame, emarginazione e miseria? E poi nella corrispondenza con i colleghi illuministi francesi che preparavano la rivoluzione del 1789 li ammoniva che abbattendo necessariamente la società feudale da secoli oppressiva e schiavista non si sostituisca una organizzazione sociale altrettanto sperequativa, l’egemonia del denaro.
(…)
oggi si è costruito e si alimenta un sistema economico-finanziario che determina i CRIMINI DI SISTEMA, e oggi le nostre carceri sono popolate dalle vittime dei crimini di sistema! E allora come giustifichiamo oggi tutto questo? Come pensiamo di conciliare per esempio la nostra Costituzione con i CRIMINI DI SISTEMA? Ma andiamo al nucleo centrale dello scritto di Francesca, a proposito del saggio della Davis ABOLIRE IL CARCERE?…. Gianpiero Pierotti fa presente giustamente che abbattendo le sperequazioni sociali le carceri si svuoteranno. Ma oggi innanzi a spaventose sperequazioni sociali mai prima verificatosi, come riorganizzare le società, i membri e gli appartenenti degli Stati? In questi ultimi decenni abbiamo assistito a radicali cambiamenti strutturali che hanno modificato l’essenza degli Stati. Pensiamo in modo particolare alla svendita e svuotamento nella sua essenza costitutiva per esempio del nostro Stato. Iniziando dagli anni ’90 si sono svenduti a privati a prezzo di stralcio l’Ina-l’Eni-l’Enel-L’Iri, si è privatizzata la Banca d’Italia, la Banca Nazionale del Lavoro, tutte le maggiori Banche sono state privatizzate, cosi gran parte del sistema sanitario, come le strutture scolastiche. La finanza e i grandi gruppi nazionali e internazionali gestiscono, condizionano di fatto i parlamenti e i governi compreso il nostro. Questi sono i grandi problemi che oggi abbiamo innanzi.
(…)
Ecco quindi l’urgenza di ripensare radicalmente il concetto di cosa si intende oggi per diritto nel nostro paese. Come rifondare oggi lo Stato di diritto soprattutto, e riscrivere gran parte dei codici penale e civile adattandoli alle radicali mutazioni avvenute sopra citate. Soprattutto sfoltendo un foresta, un ginepraio di testi e paradigmi giuridici oramai del tutto inutili. Ma la giustizia concreta effettuale si determina nella società, di come la struttura sociale disponga di elementi di reale democrazia economica. Avendo la lucida consapevolezza che il sistema economico-finanziario va in tutt’altra direzione, e che le sperequazioni sociali determinate e le risorse sono in mano di un numero di persone sempre più esiguo. Come rimediare? Il lavoro è immane.
Testo originale qui

Livio Ferrari
(…)
La storia del carcere è percorsa da una irrisolta ambiguità tra la volontà di rinchiudere i soggetti che delinquono e quella di rieducarli per il reinserimento, e in questa dicotomia c’è un inganno di fondo determinato dal fatto che il contenitore carcere ammassa sempre e ovunque donne e uomini deboli, infatti è nato per rinchiudervi i poveri e per loro è rimasto anche ai giorni nostri, e sui poveri si può speculare impunemente senza pericolo di contrapposizioni, perché le prigioni sono popolate da persone senza risorse economiche e poche culturali. L’ideologia politica delle pene non si ferma più solo al punire le persone in seguito a un reato ma di gestire gruppi sociali in ragione del rischio criminale. In effetti, attraverso il diritto penale si perseguono finalità politiche di controllo sociale che tendono a criminalizzare anche soggetti che vivono nella marginalità, nei cui confronti è assente una richiesta sociale di censura, e che il potere invece addita come nemici pur se non necessitano del ricorso all’istituto della pena per essere controllati.
Attenzione perché se il sistema penale pone fra i suoi obiettivi quello della difesa sociale, per avviarsi sulla strada della incapacitazione di soggetti appartenenti a frange avvertite come pericolose, si colloca in un ambito improprio che è quello di polizia, fuori da un contesto proprio di uno Stato di diritto e fuori dalla Costituzione. La maggioranza delle persone recluse sono giovani, immigrati e tossicodipendenti soprattutto, provenienti da strati sociali deboli e marginalizzati, quasi sempre coinvolti in economie e mercati illegali in ruoli subalterni, autori di delitti predatori o di criminalità opportunista, cosa che rende e purtroppo questa tendenza di aumento della carcerizzazione continuerà, in quanto il percorso è ben visibile e tracciato e porta alle minoranze razziali, etniche, culturali, sociali ed economiche segnate da stili di vita ai margini della legalità e irrimediabilmente perse a ogni speranza realistica di inclusione, nella logica militare di: “più prigionieri faccio, da meno nemici dovrò guardarmi”.
Il carcere è solo l’anello finale di una catena giudiziaria che è mera vendetta di uno Stato che applica ancora la legge del taglione, l’odio istituzionalizzato, e non ha cura né del reo e nemmeno della vittima. La genesi è nelle aule del tribunale dove poveri e stranieri, spesso la stessa persona, sono condannati in ragione di una mancanza di reale difesa, mentre il termine giustizia si coniugherebbe veramente al suo più alto livello se il magistrato uscisse dalla recita inquisitoria e avesse interesse del presunto reo, nella sua unicità, cosciente che la vita è breve e che dall’errore può arrivare il cambiamento. La prigione umilia, annulla, stigmatizza e impone il dolore, la sofferenza, è crudeltà, crea e aumenta la pericolosità di tutti coloro che vi transitano, che diventano a loro volta moltiplicatori irreversibili e potenziali della violenza ricevuta. Il carcere è considerato un male necessario, nella mancanza di coscienza e conoscenza in generale, senza sapere che provoca più problemi di quanti ne risolve. Sembra non possa esserci alternativa a esso, mentre l’unica soluzione possibile è l’abolizione delle prigioni che non è un’utopia
testo originale qui.

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